PSYCHO (Usa, 1960 b/n, 108')

Psycho è la rappresentazione filmica perfetta della schizofrenia. Hitchcock riesce, con attente strategie narrative e inquadrature studiate, a mettere in scena la drammaticità e l'angoscia del protagonista, Norman. La sua interiorità, la sua mente malata, vengono portate da dentro a fuori, proiettate sullo schermo e sullo spettatore.

La prima scena, dopo la panoramica, è una ripresa angolare della stanza d'albergo. E' la prima di numerose inquadrature chiuse, strette, perfettamente rappresentative del parallelismo tra confinamento spaziale e confinamento mentale. 

 

 

Il film è lento, di una lentezza disgiuntiva, alternata, dissociata. I delitti rappresentano il momento e movimento distruttivo, la spaccatura, lo scompenso violento, per poi tornare al precedente clima di ansietà opaca e affettività controllata, caratterizzata da un'assenza di profondità espressiva dei protagonisti o da una paradossale affettività (ghigno freddo)

 

 

 Il passo generale è lento, come in Vertigo, ma, piuttosto che circolare, disguntivo. Vi sono giustapposizioni violente e distoniche. La durata temporale è disconnessa e genera un tempo rotto e frammentato a livello testuale. Il desiderio di Hitchcock era esprimere al meglio e con drammaticità il movimento schizoide, attraverso inquadrature disgiuntive che rompessero la linearità narrativa. 

I deliiti rappresentano la rottura, la spaccatura esteriore e intriore di una rigidità psicotica mantenuta e conservata come un animale imbalsamato. Un'affettività controllata stravolta da uno stacco distruttivo, eruttivo, delittuoso, mortale. 

La macchina da presa prende vita agendo sul testo. E' la macchina da presa la protagonista attiva della scena: si muove per dare forma, catturare e delimitare i personaggi. Li segue e insegue con insistenza. Inquadra  e reinquadra lo spazio in cui si muovono come se volesse eliminare lo spazio fuori dalla scena (off-screen). Il confinamento spaziale è preminente in Psycho. La camera è un terzo occhio, un voyeur che circoscrive scene, personaggi, emozioni. Frammenti di vita e di persone.

La macchina da presa è persecutoria, Marion è il soggetto paranoico, Norman la psicosi dirompente. 

Norman si rinchiude nella sua angoscia fusionale travestendosi da madre assassina. Sua madre. Negando la sua assenza attraverso un'identificazione mortale. Crea un mondo immaginario delirante e allucinatorio da cui lo spettatore è escluso. I primi piani rivelano ansietà opaca. La difficoltà di identificazione è dovuta ad una sorta di "assenza di profondità" espressiva dei protagonisti o da una paradossale affettività. Lo spettatore è confuso, frammentato, distaccato e coinvolto solo nell'irruenza del delitto.

La schizofrenia rappresentata sullo schermo. Schizofrenia filmica.